“Il coaching ti aiuta ad allenare quei comportamenti utili a sviluppare le tue competenze” – Andrea Morici
Definire il coaching è proverbialmente spinoso.
Partiamo, come spesso è utile fare, dalle parole. La parola Coach, che siamo abitutati a sentire quando pensiamo al mondo dello sport, magari approcciato più comodamente attraverso una serie televisiva americana, in realtà ha origini molto diverse.
Siamo in inghilterra dove fino alla prima metà del ‘800 la parola “Coach” veniva utilizzata nella sua accezione primaria. Carrozza.
Poi a Oxford, nel 1830, il termine viene associato per la prima volta ad un’attività; quella di una persona che “accompagna” (to carry, dall’inglese “portare”) uno studente durante gli esami. Solo cinquant’anni dopo il termine viene utilizzato in ambito sportivo per identificare la figura dell’allenatore, cioè colui che porta (come una carrozza, i passeggeri) la squadra verso la vittoria.
Dal primo shift lessicale della parola ad oggi, il termine coaching ha subito molte altre variazioni, ed è sul finire degli anni ‘60 in America che assume la forma embrionale del “coaching” che oggi conosciamo.
Non stupisce che, con una storia così lunga (molto più lunga di quanto ci si aspetterebbe, in effetti) e una diffusione geografica così vasta, definire uno specifico significato per il termine “coaching” sia difficile, e forse superfluo.
Le diverse “scuole” (nell’accezione di “corrente”) hanno esaltato questo o quell’aspetto di questa disciplina, spesso deviando dal suo significato originale. La stessa applicazione “aziendale” di questi concetti in molte circostanze ha contribuito a renderne difficile la definizione.
Come se ne esce?
Abbiamo chiesto aiuto ad Andrea Morici, coach qualificato EMCC, e docente, che terrà ad Ottobre il nostro corso di Coaching.
La buona notizia è che nonostante le ramificazioni che il termine ha subito nel corso degli anni, i principi essenziali possono ancora essere individuati. Andrea ha dato questa definizione, che può aiutare a fare chiarezza su “cosa sia il coaching”, andando all’essenziale.
“Il coaching è una disciplina ti aiuta ad allenare quei comportamenti utili a sviluppare le tue competenze”.
Partendo da questo principio, possiamo allargare il discorso del coaching aziendale, introducendo il concetto di ruolo. Un “ruolo” in senso più ampio, però. Ogni persona all’interno di un’azienda ricopre un ruolo, ma è altrettanto vero che anche i singoli “team” ne hanno uno.
Le competenze di cui parla Andrea sono gli obiettivi che ciascun ruolo deve raggiungere, per poter assolvere appieno alla sua funzione. Ecco allora che in questa chiave l’utilità del coaching (che spesso lo definisce) assume un valore concreto, pratico.
L’utilità pratica è un altro aspetto che raramente viene affrontato quando si parla di coaching. Si preferisce dare per scontato quanto un’attività di coaching possa essere utile ad un’azienda da un punto di vista pragmatico, cioè di quanto i benefici siano misurabili nel quotidiano. Secondo Andrea il coaching è di due aspetti complementari e consecutivi: Riflessione e Azione.
La fase di riflessione è quella durante la quale il coach analizza gli obiettivi, identifica le difficoltà e individua le competenze da sviluppare per superarle, e conseguire il raggiungimento. La fase successiva è l’azione, dove tutto quello che è stato riconosciuto nella fase precedente, viene adesso messo in pratica. Il Coach non svanisce in questa seconda fase, ma rimane presente e continua a “portare” (per tornare al paragone con la carrozza) i partecipanti verso l’obiettivo.
Entrare nel dettaglio di tutti gli aspetti del coaching richiederebbe molto più spazio di quello di un articolo. Se vuoi saperne di più e approfondire con il nostro reparto Educational l’argomento Coaching, e magari partecipare al Corso tenuto da Andrea, in partenza il 6 ottobre. Scrivici.
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